Genitorialità e maternità consapevole. Il punto di Laura Latini
La popolazione del Lazio sta invecchiando rapidamente. Il calo della natalità ha raggiunto nel 2021 lo zero assoluto in 19 paesi della Regione. E’ lo specchio di un territorio che ha visto passare l’età media da 42 anni nel 2003 a 46 nel 2022. Il decremento delle nascite è drammatico: tra il 2008 e il 2021 i nuovi nati nel Lazio sono diminuiti del 34,4% (meno 19.538 unità in termini assoluti), passando da 56.775 a 37.237 unità, flessione più significativa di quella osservata su scala nazionale (-30,6%; -176.410 nuovi nati in valori assoluti).
Il tema della natalità e della conseguente genitorialità deve essere al centro dell’agenda politica del nuovo governo regionale. La difficoltà di coniugare le esigenze legate al mondo del lavoro e quelle di carattere familiare ha fatto aumentare l’età media delle neomamme dai 31 del 2011 agli oltre 32 del 2021. Le motivazioni? Sicuramente il mancato ricambio generazionale è frutto di politiche poco attente ai giovani: il welfare di prossimità è latente, basti pensare agli asili nido aziendali che sembrano oasi nel deserto. E poi c’è la disoccupazione, che ha spinto molti ragazzi a costruire il proprio futuro all’estero. Dobbiamo evidenziare quella che è a tutti gli effetti una profonda trasformazione in atto nelle famiglie: un numero crescente di coppie sceglie di non avere figli e questa scelta appare legata a numerosi fattori di diversa natura, tra i quali spiccano da un lato l’inadeguatezza delle risorse finanziarie – conseguenza diretta di un mercato del lavoro instabile e fortemente precarizzato – e dall’altro le scarse politiche di sostegno alla famiglia.
Un’attenzione particolare riguarda il tema dei ruoli di genere e quello – strettamente connesso – della conciliazione fra lavoro e famiglia e della forte carenza sul nostro territorio di strumenti di nuovo welfare che sappiano coniugare il soddisfacimento dei bisogni delle famiglie con quello del riconoscimento della dignità del lavoro di una donna nel contesto sociale di riferimento, con l’attenzione alla mancata risposta del mondo del lavoro nel garantire assenza di discriminazioni da un lato e strumenti concreti di conciliazione con la vita quotidiana. Da tempo invochiamo la necessita di creare percorsi educativi alla genitorialità. Riteniamo che tale forma di supporto costituisca un obiettivo centrale delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, che si devono confrontare con l’insieme di bisogni e aspettative di benessere di cui sono portatrici le famiglie e che le politiche pubbliche hanno il dovere di perseguire.
Genitorialità e maternità consapevole, si diceva. Fulcro della nostra mission è costruire un welfare delle persone, che sappia concretamente supportare le famiglie e agevoli la scelta di generare, crescere ed educare i figli, perché questo non rappresenta solo un evento privato ma un fattore decisivo per la crescita sociale, per lo sviluppo economico e il rinnovamento culturale della società. Nello specifico, siamo convinti che il percorso verso l’acquisizione di consapevolezza alla genitorialità sia un processo che si costruisce a partire dall’infanzia e attraversa le varie fasi evolutive coinvolgendo il vissuto familiare nel quale il soggetto è cresciuto, l’educazione ricevuta sia familiare che scolastica, la formazione nell’età evolutiva e puberale. Successivamente subentrano altri fattori – più concreti – quali il reddito, che servono a noi professionisti del sociale a contestualizzare le motivazioni della scelta di non avere figli.
Abbiamo notato – grazie al supporto dell’Istituto di ricerca Eures – come i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro mostrino che tra le donne con figli di età compresa tra 0 e 3 anni, la prima causa di dimissioni volontarie sia rappresentata dall’impossibilità di lavorare provvedendo al contempo alla cura dei figli, mentre tra gli uomini solo il 3,5 per cento delle dimissioni rassegnate e ascrivibile a tale motivazione. Il 77,1% dei lavoratori con figli piccoli, al contrario, ha lasciato volontariamente l’occupazione perché assunto da un’altra impresa, risultato che scende ad appena il 18% tra le donne. Numeri che confermano come la cura della famiglia rappresenti un significativo ostacolo al perseguimento di risultati lavorativi tra le donne. Va infine considerata la disparità salariale: la dinamica decennale che abbiamo recentemente analizzato ha evidenziato che – nel Lazio – per azzerare il gender gap sono necessari ancora 80 anni. Si rendono quindi indispensabili investimenti mirati e strutturali, che riguardano sia gli aspetti fiscali sia le misure di conciliazione tra vita e lavoro, fondati sulla contrattazione collettiva o sugli accordi tra le parti sociali per la promozione di politiche innovative, sia a livello nazionale, di settore o più semplicemente aziendale e riguardi tutte le misure che possono essere introdotte – dai servizi per l’infanzia e l’adolescenza a quelli a supporto – anche formativo alla futura genitorialità.
Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: i bisogni delle persone da un lato e una mancata programmazione strutturale dall’altro, che noi dobbiamo aiutare a costruire attraverso piattaforme fruibili che traducano in proposte i bisogni delle persone. Bisogni che possono essere soddisfatti soltanto garantendo servizi a tutti su tutto il territorio, costruendo migliori politiche di welfare attraverso la necessaria evoluzione dei servizi integrati. Come? Costruendo accordi, protocolli che realizzino un argine sociale preventivo contro l’acuirsi dello scollamento sociale e l’aumento della povertà, perché dove non c’è lavoro c’è povertà, c’è violenza e una conseguente tendenza alla negazione della maternità.